Uomini, donne, bambini e anziani sfilano nelle terre di Gomorra per ricordare il prete coraggio, don Peppino Diana, ucciso dai sicari della camorra il 19 marzo 1994 nella sua parrocchia di Casale.
Molti pullman hanno viaggiato per tutta la notte da nord a sud per raggiungere il comune casertano. Altri sono arrivati in aereo e poi in auto, in treno. Gonfaloni e scritte colorate di intere scolaresche dalla Lombardia alla Sicilia animano il corteo, guidato da Libera e dal Comitato don Peppe Diana. In testa a tutti c’è proprio il padre del sacerdote coraggioso, Gennaro Diana, che ripete con un sorriso velato da malinconia: “Ma la camorra si può battere”.
Applausi e lenzuola bianche appese ai balconi: così la gente accoglie le migliaia – c’è chi azzarda una stima e dice che sono almeno 40 mila – di persone venute a manifestare contro le cosche. Il personaggio più ricercato è proprio il padre di don Peppino, emozionato ma attivissimo, dice a tutti: “La camorra bisogna combatterla sempre, soprattutto ora che i casalesi stanno fallendo”. E aggiunge: “Loro, i camorristi, stanno peggio dei morti. Uccidendo mio figlio si erano illusi di aver conquistato la libertà e invece è iniziata la loro fine. Sai quante volte si sono pentiti di avere ucciso mio figlio, sì don Peppe è morto ma loro stanno anche peggio di lui”